Un’evoluzione tecnica importante che riguarda l’antica questione della disinfezione e, quindi, dell’eliminazione della flora batterica nel canale, in particolare in endodonzia. Ce ne parla il dott. Giovanni Olivi, titolare del nostro centro InLaser di Roma, che si occupa tra l’altro di estetica e odontoiatria pediatrica.
Prima di parlare della più recente evoluzione tecnologica, si può affermare che quello della disinfezione è un problema antico o addirittura insolubile?
Il problema della disinfezione è correlato a tutte le patologie in Medicina ed Odontoiatria causate da patogeni di vario tipo. In endodonzia questi patogeni sono essenzialmente batteri ed il problema della loro eradicazione sta nel raggiungerli efficacemente nei meandri microscopici della complessa anatomia endodontica. Quindi il problema è antico quanto la vita umana, ma non direi insolubile, vista la continua evoluzione di materiali e tecniche che ci ha permesso di migliorare la prognosi di molte patologie, anche in Endodonzia. Comunque, il 100% in Medicina non esiste, ma ci si può avvicinare molto.
Da dove deriva la denominazione PIPS per la disinfezione canalare?
L’acronimo PIPS sta per photon-induced photoacoustic streaming, cioè flusso di irrigante attivato da energia fotoacustica indotta da fotoni laser. Come sempre la lingua inglese semplifica e concentra in poche parole concetti che sono più complicati da esprimere in lingua italiana. È una tecnica presentata per la prima volta nel 2006 negli Stati Uniti da Enrico DiVito, con cui cominciai a collaborare nel 2007 per lo sviluppo scientifico e clinico. Da allora numerosi studi indicizzati su PubMed ne “asseverano” la validità. I risultati ne dimostrano la superiore efficacia rispetto alle altre tecniche di irrigazione, se non in tutte le ricerche, almeno nella maggior parte. C’è da dire che a tutt’oggi sono ancora pochi i dentisti che utilizzano questa tecnica, specialmente tra gli endodontisti. Ad esempio a Milano al Congresso Internazionale SIE ho incontrato più specialisti stranieri che italiani che la utilizzano.
Quali sono i limiti?
Il dentista difficilmente cambia tecnica e quando lo fa segue, giustamente, il filone più diffuso. Da oltre un ventennio la rivoluzione tecnologica in endodonzia, si è basata sull’introduzione dei rivelatori elettronici apicali della lunghezza di lavoro, sull’utilizzo di leghe nickel-titanio sempre più elastiche e performanti, ed ultimamente sulla diagnostica digitale Cone-Beam, che permette di evidenziare meglio le anatomie nascoste e/o complesse dell’endodonto: tutte tecniche di diagnostica pre-intra-postoperatoria o meccaniche di preparazione e non di incremento della capacità di disinfezione del dente. Quindi è proprio il problema “antico o addirittura insolubile” ad essere meglio diagnosticato, ma non risolto. Credo proprio che il passo successivo nell’utilizzo delle nuove tecnologie debba essere nella direzione di PIPS/SWEEPS e delle loro evoluzioni. Quindi cambiamento: cito sempre due frasi, una di Albert Einstein sul “cambiamento” del modo di vedere le cose con il mutare dei tempi, l’altra di George Bernard Shaw sul “progresso” che non può avvenire senza cambiamenti. I limiti, per risponderle più direttamente, sono nell’uomo che non sa cambiare il proprio modo di vedere le cose e nel costo elevato dell’attrezzatura che determina una barriera economica per affrontare questa scelta, creando un “alibi” professionale nell’operare il cambiamento. Oggi un laser per tecnica PIPS/SWEEPS costa quanto un apparecchio radiologico Cone-Beam. È una questione di scelte! I costi nella professione vanno visti come “investimenti” e come tali non debbono rappresentare un problema o uno stato d’ansia, ma strumento di crescita e stimolo a migliorare.
Oggi si parla di SWEEPS. come evoluzione. Che cosa significa quel termine e come si applica la tecnica?
L’acronimo SWEEPS sta per “shock-wave enhanced emission photo-acoustic streaming” cioè “flusso di irrigante attivato da energia fotoacustica implementato dallo shockwave indotta da coppie di fotoni laser”, in pratica la “doppietta” del cacciatore, che con due colpi successivi, anziché il singolo colpo di PIPS, raddoppia la potenza del procedimento. È una tecnologia molto sofisticata, unica nel mondo laser, che permette appunto di aumentare l’efficacia del trattamento senza aumentare l’energia emessa, ma incrementandone la potenza e l’efficacia. La tecnica è clinicamente sovrapponibile a PIPS, con risultati ad oggi almeno sovrapponibili, se non superiori. Numerosi studi in diversi centri di ricerca stanno mettendo a punto le molte variabili da gestire.
Perché viene definita da qualcuno una tecnica rivoluzionaria, proiettata nel futuro?
La rivoluzione per me è iniziata nel 2007. Oggi PIPS è il presente e SWEEPS, che utilizzo già da 18 mesi, rappresenta il futuro. Rivoluzionario è un sistema così efficiente che non richiede di inserire alcun strumento per l’irrigazione nei canali del dente: posizionando semplicemente ed in sicurezza una punta laser nella camera pulpare. Le sue caratteristiche salienti sono di essere una tecnica “più veloce”, “sicura” e “efficace”.
Vuole spiegare in dettaglio cosa stanno a significare i tre termini?
Il flusso di irriganti attivati dal sistema laser PIPS/SWEEPS è stato studiato per avere una velocità superiore sino a 10 volte i sistemi ultrasonici, oggi lo standard per l’attivazione degli irriganti. È sicuro perché posizionando la punta in camera pulpare non si rischiano fratture delle stesse come può avvenire per i sistemi sonici ed ultrasonici. Inoltre secondo le leggi sulla dinamica dei fluidi (Bernoulli-Venturi) più la sorgente di attivazione (punta laser) è lontano dall’apice, minore è la possibilità di creare incidenti di estrusione. Sempre secondo tale fisica la pressione apicale aumenta con l’aumentare del diametro della preparazione canalare ed apicale, con il diminuire della velocità dei fluidi. Questo permette di preparare in modo minimale i canali, con maggiore conservazione di struttura dentale (minimally invasive endodontics), avendo maggiore velocità degli irriganti (efficienza) e maggiore sicurezza di lavoro.
Fonte: Dental Tribune